Ambasciatore
Roberto Gaja nasce a
Torino il 27 maggio
1912. Iscrittosi nel
1929 alla Facoltà di
Giurisprudenza
della Regia Università di
Torino, svolge dopo la
laurea attività
d’Assistente
universitario in
Filosofia del diritto.
Contemporaneamente
intraprende un’attività
pubblicistica
collaborando con
giornali e case
editrici.
I suoi forti interessi
letterari e umanistici
sono dimostrati dalla
pubblicazione nel 1937
di una sua raccolta di
racconti dal titolo
Discorsi sul mondo
oscuro.
Sempre negli anni
Trenta intraprende la
carriera militare nel
Reggimento Nizza
Cavalleria:
un’esperienza,
conclusasi nel 1936,
molto formativa e legata
al progressivo
consolidamento in lui
dei valori del Vecchio
Piemonte, declinati in
termini di esaltazione
del senso del dovere e
dell’onore. Del suo
pensiero al servizio
dello Stato
costituiscono una
testimonianza le pagine
del libro da lui redatto
Per un reggimento di
Dragoni o della
fedeltà.
Dall’ingresso in
carriera diplomatica al
convulso periodo
successivo
all’Armistizio di
Cassibile
Dopo alcuni mesi passati
in Libia nel Regio Corpo
Truppe Coloniali della
Tripolitania, ritorna in
Italia e si prepara al
concorso per la carriera
diplomatico-consolare
cui partecipa
nell’aprile 1937
classificandosi terzo in
graduatoria. Nel giugno
successivo è assegnato,
prima, all’Ufficio
storico diplomatico
(dove prepara memorie
sul mandato britannico
in Palestina e sugli
interessi italiani
nell’area) e, poi,
all’Ufficio II della
Direzione Generale per
gli Affari
Transoceanici.
Destinato all’estero è
Vice Console dall’agosto
1938 a Lucerna e dal
novembre 1941 a
Hannover, incarico,
quest’ultimo, ricoperto
fino al marzo 1943.
Tutt’altro che facile è
il periodo
caratterizzato dagli
eventi provocati dall’8
settembre 1943 durante
il quale, in qualità di
Console Aggiunto a
Bastia, Roberto Gaja si
trova a dovere gestire
il rimpatrio dei tanti
connazionali che hanno
trovato un’occupazione
in Corsica. Per lui,
convinto monarchico, la
scelta di rimanere
fedele al Governo di
Brindisi guidato da
Pietro Badoglio non è un
fatto imprevedibile.
Infatti, il 13 settembre
1943, di fronte
all’avanzata dei reparti
tedeschi, egli abbandona
Bastia recandosi via
mare, con tutto il
personale del Consolato,
a San Martino di Lota
nell’Alta Corsica (zona
che non sarà mai
occupata).
Ricevuto nel marzo 1944
l’ordine di rimpatriare,
Roberto Gaja si reca a
Brindisi e,
successivamente, a Roma
ove lavora, prima
all’Ufficio Francia e
Africa e, poi, alle
dipendenze del
Segretario Generale
Ambasciatore Renato
Prunas con l’incarico,
tra gli altri,
d’occuparsi delle
controversie confinarie
con Austria, Francia e
Jugoslavia. Sono anni,
questi, difficili e
pieni d’incognite: si
tratta, infatti, di
ridare voce al nostro
Paese sullo scacchiere
internazionale cercando
di reinserirlo nelle
prospettive aperte dal
nuovo ordine mondiale
destinato a diventare
bipolare. A Roma, Gaja
affianca il Segretario
Generale nel cercare
d’avviare a soluzione il
contenzioso con gli
Stati nostri vicini e,
in particolare,
partecipa attivamente
alle trattative,
conclusesi il 5
settembre 1946 con
l’Accordo De
Gasperi-Gruber sul
trattamento della
popolazione di lingua
tedesca in Alto Adige,
ai lavori della missione
italiana inviata nel
1947 in Venezia Giulia
presso l’Amministrazione
anglo-americana
incaricata di gestire il
Territorio Libero di
Trieste, nonché al
negoziato per ottenere
la Dichiarazione
tripartita
anglo-franco-americana
favorevole alle nostre
rivendicazioni su
quest’ultimo Territorio.
Le missioni in Libia e
in Francia
Nell’estate 1949 Roberto
Gaja è destinato a
Tripoli come Console.
Del suo periodo in Libia
si ricordano, oltre
all’impegno nel
difendere i nostri
interessi economici in
Tripolitania, gli sforzi
volti a mantenere
elevato il prestigio
dell’importante
collettività italiana
(circa 50.000 persone)
ancora presente in
Libia. Di qui un duplice
sforzo: da un lato, lo
sviluppo di un positivo
rapporto di
collaborazione politica
con il potere senussita
e con i partiti libici
e, dall’altro,
l’appoggio alla
costituzione di una
«Lega Democratica
Italiana» disposta ad
accettare l’indipendenza
dello Stato libico, a
mantenere uno stretto
legame con la
madrepatria e a
contenere l’influenza di
gruppi locali di estrema
destra e di sinistra. In
sintesi, la missione in
Libia di Roberto Gaja,
terminata nell’aprile
1952, produce l’effetto
di creare quel clima di
distensione tra l’Italia
e la Monarchia libica
guidata da Re Idris che
porterà in seguito alla
conclusione degli
accordi del 1956 e al
definitivo
riconoscimento del
diritto della
collettività italiana di
continuare a restare in
Libia e di vedersi
tutelati i propri
interessi economici. Nel
novembre 1952 Roberto
Gaja è destinato come
Primo Segretario alla
nostra Ambasciata a
Parigi, allora retta da
un eccellente
diplomatico d’origini
piemontesi come lui,
l’Ambasciatore Pietro
Quaroni. Difficile
dunque non immaginare
tra i due uomini,
nonostante le loro
differenze caratteriali,
un idem sentire in un
momento tanto delicato
quale è quello in cui si
trova nell’immediato
dopoguerra il nostro
Paese. Ed è certamente
un grande merito di
queste due personalità
l’aver dato, con le loro
iniziative e il loro
savoir faire, un
rinnovato afflato ideale
ed una prospettiva di
cambiamento alla nostra
tradizione diplomatica
che, appunto, da Parigi
con Costantino Nigra
aveva creato un secolo
prima, usando
intelligenza e
perseveranza, i
presupposti dell’Unità
d’Italia.
Una lucida visione
dello scenario
internazionale
contemporaneo
Richiamato a Roma nel
novembre 1956, gli viene
affidata la gestione
dell’Ufficio I della
Direzione Generale del
Personale, della quale
diventa Vice Direttore
Generale nel luglio
1957. Alla fine del 1958
giunge la destinazione
all’estero quale Capo
Missione a Sofia. Il
periodo bulgaro, che si
concluderà nel 1963,
rappresenta un momento
formativo importante
nella maturazione
intellettuale di Roberto
Gaja: ne sono
testimonianza le
considerazioni sui
sistemi comunisti
dell’Europa
centro-orientale,
l’analisi ragionata sui
moventi della politica
estera sovietica e,
soprattutto,
l’elaborazione di un
tema – quello delle armi
nucleari nella politica
internazionale – che ha
modo d’esplicitare già
nel 1958 sotto lo
pseudonimo di Roberto
Guidi nella «Rivista di
studi politici
internazionali». A suo
parere, la nuova era
nucleare, introducendo
forti elementi di
disuguaglianza tra Stati
che detengono la bomba
atomica e Stati che ne
sono privi, mette una
forte ipoteca sull’idea
di democrazia
tradizionale.
Quanto alla ricostruzione da lui delineata della politica estera italiana nel secondo dopoguerra, Roberto Gaja parte dal presupposto che, di fronte ad una minaccia atomica sovietica sempre più diretta contro l’Europa, gli Stati Uniti inevitabilmente nutrino qualche riluttanza ad assumere rischi che non investano direttamente il continente americano. Di qui una certa propensione a condividere la posizione del Generale Pierre Gallois, principale teorico della dissuasione nucleare ed artefice della force de frappe francese, secondo la quale i piccoli Stati dovrebbero potere provvedere alla loro difesa con una quantità relativamente minima di armamento nucleare. Di questa tesi Roberto Gaja si fa promotore nel 1964 quando, richiamato al Ministero per prestare servizio alla Direzione Generale degli Affari Politici (di cui assumerà la direzione nel settembre di quell’anno con la nomina a Ministro degli Esteri del suo corregionale Giuseppe Saragat) sviluppa la tesi secondo la quale l’Italia, accanto al nucleare civile, dovrebbe dotarsi di un proprio armamento atomico entro la cornice, però, di un’unione europea occidentale.
L’incarico di
Segretario Generale del
Ministero degli Affari
Esteri
Nel 1970 il Ministro
degli Esteri Aldo Moro
lo nomina Segretario
Generale, carica che
continuerà a ricoprire,
sotto diversi Titolari
del Dicastero, fino al
giugno 1975. Gli anni
trascorsi alla Farnesina
lo vedono impegnato non
soltanto nel guidare una
struttura burocratica
assai complessa, ma
anche e soprattutto nel
gestire la proiezione
esterna del nostro
Paese. A questo
riguardo, va anzittutto
ricordato che è proprio
grazie al suo impegno
che il tema della tutela
delle popolazioni
tedesche e ladine e
dell’autonomia della
Provincia di Bolzano
trova, dopo lunghe
trattative con Vienna a
partire
dall’insediamento nel
1961 della Commissione
dei Diciannove, uno
sbocco positivo con
l’intesa del novembre
1969 tra i Ministri
degli Esteri Aldo Moro e
Kurt Waldheim sul c.d.
“Pacchetto per l’Alto
Adige” e sull’annesso
calendario operativo
(completato nel 1992 dal
Governo Andreotti).
A
Roberto Gaja si deve la
richiesta del nostro
Governo di modificare il
progetto di Forza
Nucleare Multilaterale
(MLF) promosso dagli
Stati Uniti (ma lasciato
cadere agli inizi del
1965) nel senso di
contemplare in esso la
possibilità della
creazione di una forza
nucleare europea. Un
momento particolarmente
delicato è rappresentato
dalla nostra firma (28
gennaio 1969) del
Trattato di non
Proliferazione Nucleare
del 1968: firma che è
accompagnata da un
Protocollo contenente 12
riserve tra le quali
quella con cui il
Governo italiano, nel
dichiarare di rinunciare
alla formazione di una
forza atomica nazionale,
precisa, tuttavia, di
voler essere parte di
una eventuale forza
atomica europea. Più
precisamente, come è
stato all’epoca
spiegato, “il Trattato
non doveva essere
considerato come un
ostacolo alla
collaborazione degli
alleati della NATO in
tema di pianificazione
nucleare né come un
freno all’evoluzione di
un’entità europea
desiderosa di acquisire
uno status nucleare”.
Quanto ad un altro tema caldo di quegli anni, quello cioè del processo d’integrazione europea, Roberto Gaja mette in guardia – e il suo pensiero coincide con quello del suo collega Pietro Quaroni – contro il rischio di un progressivo logoramento dovuto in gran parte "alla burocratizzazione degli istituti europei ed allo sfiorire degli slanci che ne avevano accompagnato la nascita".
L’ultima missione a
Washington
Nella primavera 1975
Roberto Gaja è destinato
a Washington e, nella
veste di Capo Missione,
si trova a dover
affrontare un momento
particolarmente delicato
dovuto alle riserve
coltivate da molte
cancellerie nei
confronti dei nostri
governi di
centro-sinistra,
soprattutto in funzione
della crescente
dipendenza di questi
ultimi dalla componente
comunista. Emblematiche
al riguardo sono le
pressioni e le proteste
di Aldo Moro e di
Mariano Rumor, delle
quali egli si fa
portatore presso la Casa
Bianca e il Dipartimento
di Stato, per evitare
l’esclusione dell’Italia
dalla partecipazione al
primo Vertice economico
di Rambouillet dei Paesi
più industrializzati
(15-17 novembre 1975).
Della sua missione negli
Stati Uniti, la cui fine
nel marzo 1978 coincide
con il suo collocamento
a riposo, restano
diversi Rapporti nei
quali egli sottolinea
come la politica del
Dipartimento di Stato
fondata sulla difesa del
ruolo predominante degli
Stati Uniti nel mondo
sia stata profondamente
contrassegnata
dall’azione di Henry
Kissinger che, una volta
risolto il problema del
Vietnam, colloca tra le
priorità della sua
azione la distensione
con l’Unione Sovietica.
E Gaja osserva come
l’interesse sovietico
alla collaborazione con
Washington e alla
distensione sembri a
prima vista anche
maggiore di quello
americano. Roberto Gaja
conclude il suo ultimo
rapporto al Ministro
ricordando un motto
antico del suo Piemonte
“droit, quoi qu’il soit”
letto sull’ingresso di
un palazzo di Saluzzo:
motto che ritiene – così
scrive – aver ispirato
il suo percorso
professionale e di
vita.
Muore a Roma il 31
maggio 1992.
Opere
Discorsi sul mondo
oscuro, Torino,
Accame, 1937;
Il Marchese d’Ormea,
Milano, Bompiani, 1988;
Per un reggimento di
dragoni o della fedeltà,
Cuneo, L’Arciere, 1990;
Una novella orientale,
Palermo, Editore
Novecento, 1994.
A cura dell’Ambasciatore Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli