Professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università di Torino - Senatore del Regno d’Italia
Conclusi gli studi
universitari, Fiore tra
il 1860 ed il 1862 si
dedica alla docenza nei
licei del Regno delle
Due Sicilie e, poco
dopo, del neonato Regno
d’Italia. In tale veste
egli ricopre il ruolo di
professore di filosofia
al liceo di Napoli e,
successivamente, di
Cremona. Nell’ultimo
anno di insegnamento
presso la città
lombarda, Fiore pubblica
la sua prima opera
scientifica, gli
Elementi di diritto costituzionale
Tale pubblicazione segna
una vera svolta per la
sua carriera: nel 1863
Fiore vince il concorso
per il ruolo di
Professore ordinario di
diritto internazionale
nell’Università di
Urbino, trasferendosi
così nel vivace centro
marchigiano.
La permanenza ad Urbino
si rivela tuttavia di
breve durata: già nel
1865 il giovane
professore è chiamato ad
assumere la titolarità
della cattedra di
diritto internazionale
dell’Università di Pisa.
Rimane nella città
toscana per circa dieci
anni, dedicandosi
pienamente agli studi ed
alla ricerca. La sua
produzione scientifica
nel decennio pisano è
particolarmente
prolifica, portando
l’autore a distinguersi
nel panorama degli
studiosi di diritto
internazionale
dell’epoca. Il suo
magistero ha una
notevole risonanza anche
sul piano
internazionale: già nel
1869 le sue opere
iniziano ad essere
pubblicate tradotte in
lingua francese,
trovando ampio
apprezzamento
nell’accademia
d’Oltralpe.
Nel 1875 Pasquale Fiore giunge all’Università di Torino in qualità di Professore ordinario di diritto internazionale. Al suo arrivo nella precedente capitale del Regno, Fiore è ormai un giurista affermato, forte del precedente decennio trascorso presso l’ateneo toscano. Rimane a Torino per circa sette anni, dal 1875 al 1882, anno in cui ottiene il trasferimento presso l’Università di Napoli. Nel capoluogo piemontese, Fiore accosta all’attività accademica anche l’esercizio della professione forense, affermandosi come avvocato civilista nel contesto del foro locale.
Il passaggio all’Università di Napoli, ateneo in cui Fiore aveva compiuto i propri studi universitari, coincide con l’apice della sua carriera accademica. Il giurista ha infatti accumulato larga fama negli anni del proprio magistero, curando una fitta rete di rapporti con i più eminenti studiosi dell’epoca. L’accoglienza favorevole dei propri scritti è testimoniata dal largo numero di periodici con cui Fiore collabora in quegli anni sia a livello nazionale, quali per esempio Il Digesto italiano, di cui assume altresì la co-direzione, e la prestigiosa Rivista di diritto internazionale, sia internazionale, tra cui vanno certamente ricordati il Journal de droit international privé, la Revue de droit international, la Revista de derecho internacional e la Revista de legislation y lunsprudentia de Madrid. A Napoli Fiore assume dapprima la titolarità della cattedra di diritto privato comparato, per poi ricoprire nuovamente il ruolo di Professore ordinario di diritto internazionale. L’aver tenuto entrambi gli insegnamenti è per Fiore fonte di notevole arricchimento accademico: nel corso della sua attività scientifica egli ha sempre tenuto in considerazione il diritto privato e le tecniche comparatistiche quali indispensabile quadro culturale per lo studio del diritto internazionale.
Nel 1902 è chiamato a far parte della Reale Società di Napoli, nonché dell’Institut de droit international membro onorario. Ma altrettanto intensa è l’attività di Fiore nell’ambito delle istituzioni del Regno. Il giurista napoletano è infatti nominato membro del Consiglio del Contenzioso Diplomatico presso il Ministero degli Affari Esteri, nel cui ambito si dedica principalmente alla trattazione di questioni coloniali. È in tale veste che Fiore rappresenta il governo italiano presso la Conferenza di Bruxelles del 1909 sulla proibizione del traffico di armi in Africa. Anche dalla sua cattedra universitaria, Fiore non manca di partecipare attivamente alle principali discussioni politiche del tempo. Tra queste, merita particolare menzione il dibattito circa la legge sul divorzio proposta nel 1881 dal Ministro della giustizia Tommaso Villa. Nella discussione in corso sulla legittimità o meno dell’istituto del divorzio, la posizione di Fiore esposta nel saggio Sulla controversia del divorzio in Italia si caratterizza per moderatezza ed equilibrio. Tra le due tesi opposte, egli sostiene la possibilità di sciogliere il matrimonio qualora sussistano gravi motivi ostativi alla continuazione del vincolo coniugale. Il 26 gennaio 1910, giunto all’età di 73 anni, Pasquale Fiore vede il proprio magistero ufficialmente riconosciuto attraverso la nomina a Senatore del Regno, designazione convalidata dal Senato stesso il 10 marzo successivo. L’attività dello studioso napoletano quale membro della Camera Alta è particolarmente vivace, impegnandosi in prima persona nell’Aula del Senato per la discussione di alcune importanti questioni di rilevanza internazionalistica. Tra queste ultime vanno sicuramente ricordate la trattazione parlamentare della legge sulla cittadinanza del 1911, nonché del Trattato di pace di Losanna, stipulato a conclusione della guerra italo-turca.
Salvo rarissime visite a
Terlizzi, sua città
natale, Pasquale Fiore
rimane a Napoli per
trentadue anni, fino
alla morte sopraggiunta
il 17 dicembre 1914. La
notizia della sua
scomparsa viene accolta
con cordoglio da parte
della comunità
accademica sia italiana
che internazionale: la
prestigiosa rivista The American Journal of International
Law nel
1915 ricorda Pasquale
Fiore come “the one
Italian publicist whose
works have been accepted
as authoritative in the
world at large”.
La formazione del pensiero di Pasquale Fiore attraverso la rielaborazione del magistero di Pasquale Stanislao Mancini
Ancorché la sua prima opera giuridica pubblicata abbia ad oggetto il diritto costituzionale, sin dal 1865 la produzione scientifica di Pasquale Fiore si orienta allo studio del diritto internazionale pubblico e privato. In quell’anno, ancora professore ordinario nell’Università di Pisa, Fiore pubblica il Nuovo diritto pubblico internazionale dedicandolo – rectius ‘offrendolo’ – a Pasquale Stanislao Mancini, ritenuto “il primo ad iniziare in Italia una scuola razionale di tale scienza”. Curiosamente, Fiore in apertura del volume constata la mancata pubblicazione di un manuale di diritto internazionale da parte di Mancini a causa delle “sue molteplici occupazioni” e sembra voler raccogliere il suo testimone nel “tentare una generale riforma del dritto [sic] internazionale, stabilendo le sue basi sul principio di autonomia nazionale”. Com’è stato notato in dottrina, Fiore è tra i primi ad avvertire l’esigenza di mettere a disposizione degli studenti un manuale di diritto internazionale.
La nazionalità, principio cardine nella costruzione teorica del Mancini, rappresenta un inevitabile punto di partenza della prima opera di Pasquale Fiore dedicata al diritto internazionale. Punto di partenza che, tuttavia, non coincide con il punto di arrivo. Infatti, per Fiore la nazionalità è un istituto giuridico che deve essere analizzato in modo critico, affinché, tra le altre, non venga utilizzato per una suddivisione degli Stati sulla base della razza. Un simile esito risulterebbe deprecabile, in quanto “questo principio distruggerebbe quello dell’uguaglianza e della fraternità delle razze, che è una conseguenza dell’unità primigenia della specie umana”. Un siffatto approccio lo porta, nella trattazione e nelle edizioni successive dell’opera, a discostarsi dall’idea che il diritto internazionale si fondi esclusivamente sul principio di nazionalità. Di converso, egli opta per la teorizzazione di una sistematica complessiva dei rapporti tra Stati, ritenendo questi ultimi i soggetti naturali del diritto internazionale.
La nuova edizione del Nuovo
diritto pubblico
internazionale,
poi intitolato Trattato
di diritto
internazionale pubblico,
viene pubblicata nel
1879. È interessante
notare che proprio nel
corso del suo magistero
torinese – e in
particolare
nell’edizione del 1879
del Trattato – Fiore
compie il definitivo
distacco dal principio
di nazionalità, ritenuto
addirittura un “pericolo
per il diritto naturale
dei popoli”. Emblematica
a tal riguardo è
l’assenza, nelle
premesse al libro, della
dedica a Pasquale
Stanislao Mancini, che
invece inaugurava la
prima edizione del 1865
del Manuale. Tale
assenza assume una veste
simbolica, considerato
che il Trattato viene
pubblicato da Fiore
mentre era titolare
della cattedra che
era stata,
proprio, di Mancini.
Il magistero presso
l’Università di Pisa si
conclude con lo scritto Del fallimento secondo il diritto
internazionale privato (1873)
ed il primo volume
degli Effetti
internazionali delle
sentenze e degli atti (1875).
A seguito del
trasferimento alla Regia
Università di Torino, il
secondo volume di
quest'ultima opera viene
steso nel 1877 nel
capoluogo piemontese. In
tale periodo Fiore è
giunto al suo secondo
anno di insegnamento
nella ormai ex capitale
del Regno, e per la sua
ricerca può beneficiare
della frequentazione
della ricca Biblioteca
nazionale della città.
In tale opera Fiore affronta il quesito circa la natura della
sentenza pronunciata dal
giudice straniero. Nel
considerare quest’ultima
quale atto non
direttamente
riconducibile alla
sovranità dello Stato,
il giurista introduce
una interessante
distinzione tra il
potere di giudicare,
vero atto di sovranità,
e la sentenza emessa a
seguito di tal giudizio.
La qualificazione della
sentenza civile come
atto non costituente
immediata emanazione
della sovranità statale
appare fondamentale
nella ricostruzione
di
Fiore per postulare la
sua applicabilità
extraterritoriale.
Considerando la sentenza
civile alla stregua di
una mera esplicazione di
un fatto e della
conseguenza che la legge
applicabile ne fa
derivare, Pasquale Fiore
afferma che la sua
esecutività non potrebbe
trovare un limite nella
differenza tra il luogo
dell’emanazione e quello
dell’esecuzione. Fiore
giunge invece a
conclusioni diverse per
quanto concerne la
sentenza penale,
concepita quale atto di
ricomposizione di un
ordine giuridico e
sociale violato a
seguito dell’infrazione
della legge penale. In
tale prospettiva, egli
giudica scarsamente
giustificabile sul piano
teorico l’esecuzione
della sentenza penale in
uno Stato diverso da
quello in cui è stata
pronunciata, in quanto
tale operazione
risulterebbe inidonea a
ricomporre l’ordine
sociale dello Stato in
cui il reato è stato
commesso. A Torino
pubblica numerosi altri
scritti, tra i quali è
doveroso ricordare Sul problema internazionale della società giuridica degli Stati, del
1878, nonché l’Esame
critico del principio di
nazionalità (1879).
Negli anni di permanenza a Napoli, Pasquale Fiore si dedica
altresì allo studio di
questioni di rilevanza
per il diritto
internazionale in chiave
comparatistica, con
particolare attenzione
al regime giuridico
applicabile agli
stranieri in materia di
successione. Tali
ricerche portano
l’autore a pubblicare
tra il 1900 ed il 1901
le monografie Della
legge che regola la
successione straniera
secondo il diritto
inglese e Sulla successione degli stranieri secondo il diritto ottomano. Non
manca un’attenzione
particolare per il
diritto civile interno:
nel 1886 inizia la
redazione di una vasta
opera intitolata
Il diritto civile secondo la dottrina e la giurisprudenza, portata a
compimento da Biagio
Brugi a seguito della
scomparsa di
Fiore nel 1914.
Per quanto concerne invece il pensiero di
Fiore circa
l’organizzazione della
comunità internazionale
e la sua necessaria
istituzionalizzazione,
particolare attenzione
va riservata allo
scritto intitolato Un
appel à la presse et à
la diplomatie,
pubblicato a Parigi nel
1890. In tale opuscolo,
Fiore affronta in chiave
critica il tema della
risoluzione delle
controversie
internazionali, fino ad
allora basato
principalmente sullo
strumento
dell’arbitrato,
anticipando le più
articolate conclusioni
presentate ne Il
dritto internazionale
codificato e la sua
sanzione. Dinanzi
all’insufficienza delle
procedure arbitrali
conosciute, Pasquale
Fiore si pone in una
prospettiva
particolarmente
innovativa. Egli
propugna l’opportunità
di istituire un
Congresso internazionale
che, attraverso
l’attività di un organo
assembleare in cui gli
Stati siano
rappresentati in modo
paritario, possa
concorrere
all’individuazione
condivisa e graduale
delle norme ritenute
vincolanti dalla
comunità internazionale.
A seguito di tale
operazione, funzionale
ad una codificazione del
diritto internazionale,
nuove procedure di
composizione delle
controversie tra Stati
avrebbero potuto essere
fondate su una base
normativa sostanziale
solida. A tal riguardo,
Fiore propone
l’istituzione di un
organo intergovernativo
a carattere stabile,
denominato Conferenza,
al quale verrebbe
devoluta la soluzione
delle controversie su
base arbitrale. La
ricostruzione di
Fiore appare quasi
premonitoria: non
possono infatti essere
sottaciute le evidenti
assonanze tra il
Congresso e la
Conferenza proposti dal
giurista napoletano e le
successive esperienze
della Società delle
Nazioni e delle Nazioni
Unite.
Un ampio ventaglio di interessi scientifici
Il 1882, come anticipato, costituisce un anno di svolta per la carriera accademica di Pasquale Fiore, chiamato a proseguire il proprio magistero nell’Università di Napoli, ateneo in cui si era precedentemente formato come studente. I trentadue anni trascorsi nell’ateneo partenopeo, dapprima come professore di diritto privato comparato e poi in qualità di titolare della cattedra di diritto internazionale, rappresentano il periodo della maturità del suo pensiero. In quegli anni Fiore scrive l'edizione definitiva del Trattato di diritto internazionale (Torino, 1887-88), nonché la sua opera forse più significativa: Il diritto internazionale codificato e la sua sanzione giuridica (1890).
È proprio tale ultimo scritto a conferire a Pasquale Fiore
una posizione
riconosciuta non solo
nell’accademia italiana,
ma anche nel panorama
internazionale. Il
diritto internazionale
codificato e la sua
sanzione giuridica,
infatti, viene tradotto
in francese, spagnolo e
inglese. Ed è
interessante notare che
la traduzione in inglese
dell’opera (International
law codified and its
legal sanction;
oppure, The legal organization of the society of states) rappresenta uno dei
rari casi – e per
l’epoca sicuramente
l’unico – di traduzione
in quella lingua di
un’opera di uno studioso
italiano. L’accoglienza
del volume in ambito
internazionale si rivela
particolarmente
favorevole, tanto che il
volume viene anche
recensito nel 1918 da
Fenwick nell’American
Political Science Review.
Il recensore colloca
l’opera del Fiore
nell’alveo delle
codificazioni
“costruttive e critiche”
del diritto
internazionale,
riconoscendo in tal modo
la correttezza
dell’approccio seguito
dall’autore. Una
codificazione del
diritto internazionale
non può ridursi ad una
semplice
sistematizzazione delle
norme di diritto
esistenti, dovendo
invece prendere in pari
considerazione “the
existing law and such
rules as may be becoming
law”. Tale approccio è
fatto discendere da
Fiore dall’essenza
stessa del diritto
internazionale quale
entità in divenire,
portando così il
giurista ad analizzare
non solo il presente ma
anche il suo sviluppo
futuro.
In tale prospettiva, Diritto internazionale codificato rivela definitivamente
all’accademia italiana e
al mondo l’approccio
teorico di Pasquale
Fiore al diritto
internazionale. Come
notato da Koskenniemi
nel suo Gentle
Civilizer of Nations,
per Fiore la suprema
norma di diritto
internazionale è la
coscienza giuridica dei
popoli europei. Il
diritto internazionale,
dunque, non opera per
proteggere gli interessi
statali, ma per tutelare
i diritti di quella che
l’autore definiva la Magna
Civitas: un’entità
che, oltre agli Stati,
include altri
enti-soggetti quali la
Chiesa cattolica e gli
individui. In un
passaggio essenziale,
enunciato nelle prime
pagine del volume, Fiore
evidenzia l’esistenza di
un “antagonismo tra gli
interessi politici, così
come l’intendono i
governi, e gli interessi
dei popoli” che in
prospettiva deve essere
risolto a favore di
questi ultimi.
L’importanza dell’opera più nota di Pasquale Fiore sta anche
nel rilievo che, nella
trattazione, assume la
tutela dei diritti
umani. Ben prima della
Dichiarazione universale
dei diritti umani,
l’Autore enuncia il
principio secondo cui “i
diritti internazionali
dell’uomo sono sotto la
tutela giuridica di
tutti gli stati civili”.
Sebbene tale opera, di
cui si sono appena
menzionati alcuni tratti
salienti, abbia permesso
a molti commentatori di
qualificare Fiore come
esponente della scuola
del diritto naturale –
per Benedetto Conforti,
Fiore rappresenta “one
of the last
representatives of the
school of natural law” –
secondo Koskenniemi la
sua prestazione teorica
“perseguiva una
riconciliazione
pragmatica della storia
con la ragione”. E in
effetti è proprio il
pragmatismo di cui parla
Koskenniemi ad informare
la stessa struttura del
libro, che si presenta
al lettore come una vera
e propria opera di
codificazione. Come nota
Fenwick, nella citata
recensione al volume,
questo ha l’obiettivo di
presentare e sistemare
sia leggi e principi già
accettati come tali
dalla comunità degli
Stati, sia quelle leggi
e quei principi
derivanti alla coscienza
dei popoli. In estrema
sintesi, l’opera di
Fiore codifica e offre
una proposta di sviluppo
progressivo del diritto
internazionale. Inoltre,
l’opera in esame si
rivela importante anche
per il modo in cui
presenta il ruolo del
giurista: non più
confinato allo studio
del diritto, ma anche
uno specialista che
contribuisce alla
formazione dei principi
e quindi, mediatamente,
delle regole giuridiche
che compongono
l'ordinamento
internazionale.