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Pietro Quaroni

(1897-1980)

Ambasciatore

 

Pietro Quaroni nasce ad Anzino in Valle Anzasca il 2 ottobre 1898 da una famiglia di origine ossolana. A Roma compie gli studi liceali all’Istituto Massimo per poi seguire il corso di laurea in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza”, frequentando in parallelo l’Università degli Studi Orientali di Napoli ove si specializza nella conoscenza della lingua russa. Durante la Prima guerra mondiale è Ufficiale di complemento nell’Arma del Genio e, dopo aver partecipato nell’autunno 1917 alla battaglia del Piave, è decorato della Croce di Guerra al valor militare per avere “con esemplare sprezzo del pericolo attraversato ripetutamente il fiume” nella veste d’ufficiale di collegamento con i reparti britannici. Nel 1918 fa parte della missione internazionale inviata a Tiflis per aiutare le truppe russe bianche del Generale Wrangler.

 

Dall’ingresso in carriera all’allontanamento da Palazzo Chigi

Rientrato a Roma nello stesso anno, Pietro Quaroni riprende gli studi giurisprudenziali conseguendo la laurea nel dicembre 1919: ciò gli consente di partecipare nel 1920 al primo concorso per la carriera diplomatica indetto dal Ministero degli Esteri dopo la fine del conflitto. Uscitone vincitore, è destinato il 6 luglio di quello stesso anno con il grado di Addetto di Legazione a Costantinopoli in un momento particolarmente delicato per la Turchia. Infatti, a seguito del Trattato di Losanna (24 luglio 1923) che ridisegna i confini precedentemente stabiliti dal Trattato di Sèvres, Quaroni assiste per un breve periodo alla definitiva caduta dell’impero ottomano e all’ascesa del nazionalismo di Kemal Ataturk. Nel settembre 1923 è trasferito all’Ambasciata a Buenos Aires e nel luglio 1925 è destinato in qualità, prima, di Secondo e, poi, di Primo Segretario, all’Ambasciata a Mosca ove è testimone delle prime mosse di Stalin per imporre la sua teoria di un comunismo come socialismo in un solo paese.

Nel luglio 1927 Pietro Quaroni è richiamato a Palazzo Chigi (sede del Ministero degli Affari Esteri fino al 1960) per poi essere trasferito nell’ottobre 1928, quindi dopo poco più di un anno passato presso l’Amministrazione centrale, in Albania. Richiamato a Roma nell’aprile 1931 è destinato alla Direzione Generale degli Affari Politici in qualità di Capo dell’Ufficio I° ove si occupa soprattutto d’Europa centrale. È questo un periodo d’intenso lavoro che lo porta, dopo la nomina a Consigliere di Legazione, a partecipare a diversi negoziati (tra i quali vanno ricordati quelli riguardanti la Convenzione consolare con la Lettonia, la Convenzione di stabilimento italo-francese, la Convenzione per l’esercizio del tratto ferroviario Roma-San Marino, i lavori del Comitato internazionale di esperti giuridici nel settore aeronautico e la Convenzione internazionale di diritto privato aereo). In particolare, Quaroni funge da esperto nella delegazione guidata da Benito Mussolini alla Conferenza di Stresa che vede riuniti dall’11 al 14 aprile 1935 i Ministri degli Esteri d’Italia, di Francia e di Gran Bretagna per definire una linea d’azione comune di fronte alla minaccia dell’Anschluss e dopo la denuncia da parte di Hitler delle clausole militari del Trattato di pace di Versailles. Proprio alcuni commenti critici da lui mossi alla politica estera del Governo fascista (legati, tra l’altro, alle diatribe provocate dalle sanzioni economiche deliberate dalla Società delle Nazioni dopo la guerra in Abissinia e dalla conseguente rottura del c.d. “fronte di Stresa”) comportano l’allontanamento di Pietro Quaroni da Palazzo Chigi ed il suo trasferimento il 2 settembre 1935, prima, a Salonicco come Console Generale e poi, il 7 agosto 1936, a Kabul con credenziali d’Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario. In Afghanistan - l’unico Stato dell’area a mantenere la neutralità quando durante il conflitto mondiale - egli resta per ben otto anni in condizioni di quasi totale isolamento. Tuttavia, grazie alla possibilità di intraprendere - soprattutto nel primo periodo della sua missione - numerosi viaggi in Asia centrale, India e Persia, si dedica ad approfondire la conoscenza delle culture asiatiche.

Da queste ricerche egli matura il convincimento che sia non solo opportuno bensì assolutamente necessario impostare una politica estera non soltanto eurocentrica ma che tenga nel dovuto conto le nuove forze che si affacceranno sulla scena internazionale per liberarsi dai lacci del colonialismo. Da tale prospettiva deriva il suo scetticismo - che non esiterà a manifestare più tardi - verso quegli atteggiamenti del Governo italiano, emersi durante il negoziato per il Trattato di pace del 1947, tesi ad ottenere dagli Alleati qualche concessione sui nostri ex possedimenti in Africa.

 

Un ruolo di primo piano agli albori del secondo dopoguerra: gli incarichi a Mosca, New York e Parigi

Nel maggio 1944, dopo la “svolta di Salerno”, Pietro Quaroni è destinato a Mosca (più vicina ad essere raggiunta da Kabul che non Salerno, sede del governo provvisorio, ove - si disse - lo si avrebbe voluto per coprire la carica di Segretario Generale) prima in qualità di Rappresentante e poi, a seguito del riconoscimento sovietico del Governo Badoglio, con credenziali d’Ambasciatore d'Italia. Risalgono a quel periodo (dal 20 luglio 1945 al dicembre 1946) i tentativi di allacciare un dialogo con la Jugoslavia sulla Venezia Giulia, nonché le sollecitazioni rivolte alle autorità sovietiche sul delicato tema della consegna di presunti criminali di guerra italiani reclamati da alcuni Paesi tra i quali, oltre che la Jugoslavia, l’Etiopia, la Grecia e l’Albania. Particolarmente interessanti sono i giudizi da lui formulati sulle prospettive della politica estera sovietica. Essendo quest’ultima caratterizzata da un’incorreggibile avversione al capitalismo, secondo Quaroni essa si propone di costruire attorno all’URSS una cintura di sicurezza politico-militare attraverso l’assoggettamento degli Stati dell’Europa centrale e orientale alla volontà di Mosca. Di qui la convinzione, maturata attraverso i colloqui con le massime autorità locali tra cui Molotov, che, nonostante qualche segno di comprensione nei nostri confronti, la delegazione sovietica alla Conferenza di Parigi si sarebbe astenuta dall’ammorbidire la sua rigida linea nei negoziati di pace con l’Italia. Da osservatore attento e lungimirante, Pietro Quaroni si rende conto fin dal 1944 che i rapporti tra sovietici da un lato, e americani e britannici dall’altro, sono “la risultante instabile tra il riconoscimento da parte di tutti e tre della necessità d’andare d’accordo se si vuole evitare un nuovo e forse più grande conflitto […] ed una più intima convinzione che, alla lunga, andare d’accordo non è possibile”.

Nel giugno 1945 egli è promosso Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di prima classe. Prima di raggiungere nel novembre 1946 l’Ambasciata di Parigi (fino ad allora guidata da Giuseppe Saragat), nel luglio dello stesso anno è inviato in missione a New York per assistere l’Ambasciatore Alberto Tarchiani, incaricato d’illustrare nella Conferenza dei Ministri degli Esteri delle Potenze vincitrici (4 novembre - dicembre 1946) la posizione del Governo italiano sulla definizione dei confini orientali, con particolare riferimento alla delicata questione di Trieste (che troverà una soluzione soltanto più tardi con il Memorandum italo-jugoslavo firmato a Londra il 5 ottobre 1954 e con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975). Proprio agli inizi della sua missione in Francia (30 novembre 1946), che si protrarrà per ben dodici anni, Pietro Quaroni è chiamato a far parte della delegazione diretta dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi per i negoziati sul Trattato di pace tra l’Italia e le Potenze alleate (conclusi il 10 febbraio 1947 con la firma, anzicché di un membro del Governo, dell’Ambasciatore Antonio Meli Lupi di Soragna che, in mancanza di un sigillo della Repubblica italiana, farà ricorso all’impronta del suo anello!). È interessante al riguardo notare come di fronte al dilemma creatosi in seno al Governo italiano se firmare o meno quel trattato, Pietro Quaroni, in un suo Rapporto del 26 dicembre 1946 indirizzato al Ministro degli Esteri, Pietro Nenni, suggerisce di astenersi dal firmare il Trattato di pace e di motivarne il rifiuto "in modo da renderlo simpatico agli americani". Infatti, egli era consapevole dei sentimenti dell’opinione pubblica statunitense, convinta delle ingiustizie da noi patite e della violazione dei principi che a suo tempo avevano portato Washington a entrare in guerra. Con questa scelta, Quaroni consiglia d’insistere non tanto sulle amputazioni territoriali imposte all’Italia quanto, piuttosto, sull’assenza di consultazioni delle popolazioni interessate, raccomandando altresì di “non toccare le questioni inerenti le colonie”.

 

L’impegno per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Francia

A Parigi Pietro Quaroni si impegna nel promuovere iniziative tese a superare i risentimenti di un’opinione pubblica locale scossa dai ricordi dell’occupazione italiana del giugno 1940, al fine di ricollocare le relazioni con la Francia sui binari di una franca amicizia, sottolineata anche da felici iniziative sui piani economico e culturale. Il compito si rivela tutt’altro che semplice: a riprova di uno stato d’animo a noi ostile interviene nel dicembre 1948 il voto contrario, espresso all’unanimità dall’Assemblea Nazionale, all’Accordo concluso dall’Ambasciatore d’Italia e dal Ministro degli Esteri, Georges Bidault, l’8 luglio di quello stesso anno che rettifica a favore del nostro Paese il confine stabilito dal Trattato di pace nella zona del Moncenisio. È interessante notare come di fronte a questo episodio Pietro Quaroni inviti il Governo italiano a non drammatizzarlo. Pur dichiarando che i rapporti italo-francesi paiono ancora “instabili, superficiali e poco sviluppati in profondità”, in quanto l’Italia continua ad essere considerato un Paese “non co-belligerante ma ex nemico”, egli conclude osservando che “ci vogliono ancora degli anni di lavoro paziente e silenzioso prima di poter dire d’aver dato una base veramente solida” alle relazioni italo-francesi. È così che fin dal maggio 1947 Pietro Quaroni si adopera per sviluppare la collaborazione tra le industrie dei due Paesi quale premessa, a seguito dell’inizio della guerra fredda, per ancorare saldamente l’Italia al blocco occidentale ancor prima dell’entrata in funzione del Piano Marshall. Su impulso di Luigi Einaudi egli promuove l’istituzione presso la Città Internazionale Universitaria di Parigi della Maison de l’Italie (inaugurata nel 1858 alla presenza del Presidente della Repubblica francese, René Coty e del Presidente del Senato, Cesare Merzagora), istituzione che il regime fascista si era a suo tempo rifiutato di aprire nel periodo tra le due guerre. È sempre nei primi anni della sua missione a Parigi che, in una lettera indirizzata al primo Presidente della Repubblica, egli sostiene la necessità per l’Europa occidentale di premunirsi contro il rischio che i sovietici arrivino “in poche settimane fino a Lisbona”, dichiarandosi pertanto favorevole a un’unione difensiva saldamente legata agli Stati Uniti. Dopo il “colpo di Praga” del 1949 Pietro Quaroni sostiene che una politica di neutralità non sia più materialmente praticabile e ne trae la conseguenza che l’Italia debba assolutamente figurare tra i fondatori dell’Alleanza atlantica. Ciò non significa, naturalmente, che egli non auspichi la distensione tra Est e Ovest: tuttavia, nei suoi scritti lascia talvolta trasparire lo spettro di un conflitto inevitabile anche se non imminente.

A facilitare la riconciliazione italo-francese, di cui più tardi si dirà che Pietro Quaroni ne è stato il vero artefice, concorre certamente il contesto internazionale alla base dell’Alleanza franco-britannica firmata a Dunquerque il 4 marzo 1947. Tale intesa è principalmente motivata dall’inizio della Guerra Fredda che porterà, dopo il Piano Bevin, all’allargamento dell’intesa originaria prima al Benelux (Trattato di Bruxelles del 17 marzo1948) e, poi, ad altri Paesi europei, tra i quali l’Italia, che danno vita nel 1954 all’Unione dell’Europa Occidentale (UEO). Rispetto alle intese di quei primi anni Pietro Quaroni si mostra da subito favorevole, raccomandando a Roma una “adesione di principio, ma di attesa in realtà”: in altri termini di attesa “che siano gli altri a venirci a cercare”. Nei suoi Rapporti a Roma egli precisa il suo pensiero affermando che la neutralità “non è purtroppo nello spirito dei tempi”: essendo la guerra “guerra del bene contro il male… la stessa idea di neutralità è un crimine”. Nei Rapporti inviati al Ministro Gaetano Martino egli riprende l’idea d’una federazione da attuare progressivamente e “dotata per forza di una politica estera e di un esercito europeo” capace di superare la gretta visione dei nazionalismi per risolvere i problemi politici e economici dell’Europa. A coronare i positivi e lusinghieri risultati della sua lunga missione in Francia interviene il conferimento da parte del Presidente Luigi Einaudi dell’insegna di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana per l’intensa azione da lui svolta nei settori della riconciliazione tra Francia e Italia, dell’integrazione europea e dell’intesa (poi naufragata) sulla sicurezza europea. Nell’aprile 1958, a pochi mesi dal ritorno al potere di Charles De Gaulle e del referendum che instaura la Quinta Repubblica, Pietro Quaroni è destinato a Bonn e, nel 1961, a Londra ove resta fino al momento del suo collocamento a riposo nel novembre 1964. Nello stesso anno è nominato Presidente della RAI, carica che mantiene fino al giugno 1969 quando assume la presidenza della Croce Rossa Italiana. Muore a Roma l’11 giugno 1971. Nel 2018, a cento anni dalla nascita, il Comune di Bannio Anzino gli conferisce il titolo di “Anzinese benemerito”.

 

Opere

L’Italia e i problemi internazionali, ISPI, Milano,1935;

Ricordi di un Ambasciatore, Garzanti, Milano, 1954;

Croquis d’ambassade, Plon, Paris,1955;

Valigia diplomatica, Garzanti, Milano,1956;

Aspetti della diplomazia contemporanea. Oriente e Occidente, Istituto veneto di scienze, Venezia 1956;

Diplomate pack, Schleffler, Frankfurt, 1958 ;

Valise diplomatique, Plon, Paris,1958 ;

Die Stunde Europas, Schleffler, Frankfurt, 1959;

Koexistenz zwischen Freiheit und Diktatur, Frankfurt, 1961;

L’Europa al bivio, Ferro Ed., Milano,1965;

Il mondo di un ambasciatore, Ferro Ed., Milano,1965;

Il Patto Atlantico, Volpe, Roma,1966;

Problemi di politica del nostro tempo, Garzanti, Milano,1966;

Diplomatic Bags: An Ambassador’s Memoirs, Weidenfeld and Nicolson, London, 1966;

La pace e la guerra nell’azione di W. Churchill, Centro di Culture E.Puecher, Milano,1966;

Pace e Libertà – il Patto Atlantico, Lib. Frattina Ed., Roma, 1970;

Russen und Chinesen, Scheffler, Frankfurt,1968.

 

A cura dell’Ambasciatore Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli